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(Fonte: Diritto.it / by Alessia Brunetti)
Le vicende successorie nel rapporto tra i conviventi di fatto: la donazione cum moriar, si moriar e si praemoriar
Diritto.it / by Alessia Brunetti / 2d
SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. La differenza di trattamento tra coniuge superstite e convivente superstite. – 3. Il testamento e i suoi limiti (sub specie, il divieto di patti successori). – 4. Una possibile soluzione: le donazioni cum moriar, si moriar e si premoriar. Ma la questione rimane aperta… 1. Introduzione. La materia delle convivenze di fatto pone, attesa la sua estrema attualità, questioni sempre nuove agli interpreti. Uno dei temi più interessanti su cui dottrina e giurisprudenza si sono interrogate attiene alle tutele che l’ordinamento offre al partner superstite in caso di morte del convivente more uxorio. 2. La differenza di trattamento tra coniuge superstite e convivente superstite. Se, da un lato, è evidente che il coniuge gode, considerata la tradizionale importanza che l’istituto del matrimonio ha nella storia del nostro sistema giuridico, di un’attenzione sicura e garantista, anche per il tempo della vedovanza, meno rassicurante è la posizione del convivente superstite. I diritti del coniuge superstite alla successione sul patrimonio dell’altro coniuge defunto sono infatti molteplici e riguardano tanto la successione a titolo universale, quanto quella a titolo particolare. Il coniuge, anzitutto, rientra nell’alveo dei legittimari che, ai sensi dell’art. 536 cod. civ., sono i soggetti a favore dei quali la legge riserva una quota di eredità o altri diritti sulla successione[1]. Egli, inoltre, è successibile legittimo[2] e secondo quanto previsto dalla legge accetta l’eredità con funzione di supplenza, qualora il testamento manchi o, comunque, sia in tutto o in parte inefficacie nel destinare il patrimonio del de cuius. Il coniuge, senz’altro, può anche essere inserito nel testamento dell’altro coniuge, secondo le regole generali della successione testamentaria. Tanto brevemente ricordato, va rilevato che, a differenza del rapporto coniugale, che proietta alcuni effetti patrimoniali oltre la morte consentendo al coniuge di rientrare a pieno titolo nella successione del de cuius, il rapporto posto in essere dai conviventi esaurisce i propri effetti con la cessazione della convivenza stessa[3]. In caso di morte di uno dei membri della coppia di fatto, infatti, l’ordinamento non prevede alcuna tutela per il partner superstite per cui, in assenza di una specifica disposizione testamentaria, egli non può vantare diritti successori nei confronti del patrimonio dell’altro[4].
3. Il testamento e i suoi limiti (sub specie, il divieto di patti successori).
Tenuto conto della lacuna di tutela, laddove il convivente di fatto voglia assicurare al proprio partner, nel caso nella propria morte, un adeguato trattamento successorio, egli non potrà far altro che ricorrere al tipico strumento del testamento, nominando erede il convivente e specificando la quota di eredità da destinargli.
Tuttavia, ancorché si possa far ricorso al testamento, la posizione del convivente superstite ancora non può essere paragonata a quella del coniuge. Infatti, lo strumento in questione incontra alcuni significativi limiti.
In primo luogo, il convivente può disporre a favore del partner soltanto nella porzione disponibile dell’asse ereditario, in modo da non ledere i diritti spettanti ai legittimari[5].
In secondo luogo, il testamento può essere revocato usque ad vitae supremum exitum[6]. Di conseguenza è possibile che, all’apertura della successione, si venga a scoprire l’esistenza di un testamento revocativo di quello conosciuto dal convivente e sul quale aveva fatto affidamento fino a quel momento.
Un’ulteriore limitazione, particolarmente degna di nota, riguarda il fatto che le disposizioni volte a tutelare il convivente more uxorio rimasto in vita non possono essere inserite in un contratto, atteso il divieto di patti successoriprevisto dall’art. 458 cod. civ.
Gli art. 457 cod. civ. (“L’eredità si devolve per legge o per testamento”) e 458 cod. civ. secondo il quale “E’ nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione”, sono alla base del divieto dei c.d. patti successori (istitutivi[7]), in cui taluno dispone in via convenzionale della propria successione.
La ratio del divieto si ricollega direttamente alla previsione di cui all’art. 679 cod. civ., che riconosce come inderogabile la libertà di revoca al testatore, che risulterebbe, appunto, violata da siffatti patti.
La Corte di cassazione ha individuato gli elementi, in presenza dei quali, si può ritenere configurato un patto successorio: 1) se il vinculum iuris della pattuizione abbia la specifica finalità di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi a una successione non ancora aperta; 2) se la cosa o i diritti formanti oggetto della convenzione siano stati considerati dai contraenti come entità della futura successione o debbano, comunque, essere compresi nella stessa; 3) se il promittente abbia inteso provvedere in tutto o in parte alla propria successione, privandosi così dello jus poenitendi; 4) se l’acquirente abbia contratto o stipulato come avente diritto alla successione; 5) se il convenuto trasferimento dal promittente al promissario avrebbe dovuto aver luogo mortis causa e, cioè, a titolo di eredità o di legato[8].
Oltre alla nullità del patto successorio in sé, dottrina e giurisprudenza concordano nell’affermare anche la nullità del testamento che vi dia esecuzione, poiché l’impegno assunto a testare in un determinato senso escluderebbe la spontaneità dell’atto di ultima volontà. I conviventi, pertanto, devono fare attenzione a non inserire negli accordi di convivenza pattuizioni con cui dispongono della loro eredità.[9]
Attese le limitazioni richiamate, ci si è chiesti con quali strumenti dell’autonomia privata sia possibile soddisfare le esigenze dei conviventi more uxorio, prima fra tutti quella di assicurare al convivente superstite mezzi di mantenimento che, come visto, potrebbero attenuarsi o scomparire in seguito alla morte dell’altro.
4. Una possibile soluzione: le donazioni cum moriar, simoriar e si premoriar. Ma la questione rimane aperta…
A questo proposito, si è tentato di ridurre la portata dell’articolo 458 cod. civ. cercando di individuare degli atti che, pur stipulati prima dell’apertura della successione e aventi ad oggetto i beni del de cuius, fossero destinati a produrre effetti solo dopo la sua morte, senza per questo qualificarli come mortis causa.
Si sono così distinte due categorie di atti: quelli mortis causa[10] e quelli post mortem.
Nonostante tale distinzione non risulti sempre semplice, in linea generale si può affermare che si considerano post mortem le attribuzioni in cui l’evento morte non diventa elemento causale, ma risulta semplice modalità accessoria.
Questi ultimi, nello specifico, seppur destinati a produrre effetti solo dopo la morte del titolare dei diritti alienati, sarebbero da qualificare come inter vivospoiché l’evento morte non è elevato a causa dell’attribuzione dalle parti, quanto piuttosto a mero requisito condizionante la produzione degli effetti definitivi propri del negozio[11]. Così argomentando, costituendo la morte del de cuius il momento a partire dal quale si consolida l’acquisto a favore del convivente superstite, non si ravviserebbe una violazione dei patti successori[12].
Sulla base di questi presupposti, sono state individuate, tra gli atti che si prestano in misura maggiore a soddisfare le esigenze di tipo successorio dei conviventi, la donazione cum moriar, la donazione si moriar e la donazione si praemoriar.
In breve, nella donazione cum moriar il termine iniziale di efficacia coincide con la morte del donante; la donazione si moriar è assoggettata alla condizione sospensiva della morte del donante; la donazione si praemoriar è infine sottoposta alla condizione risolutiva della premorienza del donante[13].
In relazione alla validità di queste tre ipotesi di donazione le opinioni non sono pacifiche. Al contrario, occorre prendere atto dell’esistenza di un contrasto giurisprudenziale non ancora risolto.
Un primo orientamento[14] ritiene valide quelle forme di donazione ove il donatario acquista immediatamente, sia pur sotto condizione sospensiva, godendo di un’aspettativa legalmente tutelata e potendo compiere atti conservativi (art. 1356, I comma c.c. e potendo disporre del diritto (art. 1357 c.c.).
Su altro versante[15] si è invece sostenuto che, mentre la donazione sottoposta a condizione sospensiva della morte del donante non può essere un valido strumento alternativo al testamento in quanto urta con il divieto dei patti successori, viceversa va detto con riferimento alla donazione sotto condizione risolutiva della premorienza del donatario ai sensi dell’art. 791 c.c.
Come detto, la questione risulta, ad oggi, ancora aperta non avendo la giurisprudenza successiva a quella citata dato maggior seguito ad uno piuttosto che all’altro orientamento. Pertanto, in attesa di una risposta in tal senso da parte del legislatore o delle Sezioni Unite della Suprema corte, non si può che auspicare chiarezza per una materia, oggi più che mai, tanto rilevante.
Note
[1] L’articolo 540 cod.civ., riconosce al coniuge superstite, in qualità di erede legittimario, il diritto al c.d. “legato ex lege” – più propriamente indicata come “riserva a favore di coniuge”, ovvero una quota variabile sul patrimonio dell’altro coniuge. Le quote di legittima variano quindi in relazione al rapporto di parentela o di coniugio intercorrenti col de cuius, Quando il de cuius non abbia figli, al coniuge è riservata la metà di quel patrimonio (art. 540 cod. civ.). Se invece, il de cuius abbia un solo figlio, sia il coniuge che il figlio avranno diritto a non meno di un terzo ciascuno dell’eredità. Ove altrimenti, il coniuge partecipi con due o più figli all’eredità, questi ultimi avranno diritto congiuntamente a non meno della metà del patrimonio e la legittima del coniuge si ridurrà ad un quarto (art. 542 cod. civ.).
[2] Ex art. 565 cod. civ.
[3] G. BONILINI, Il mantenimento post mortem del coniuge e del convivente more uxorio, in Riv. dir. civ., 1993, p. 239.
[4] Sulla possibilità di includere il convivente tra i successibili legittimi si è espressa anche la Corte costituzionale, la quale (per vero con una pronuncia ormai risalente nel tempo, ma ancora valida nei suoi contenuti) ha negato l’asserita violazione degli artt. 2 e 3 Cost. in riferimento alla mancata parificazione del convivente al coniuge in materia di successione legittima (cfr. Corte Cost., 26 maggio 1989, n. 310).
[5] E. MOSCATI, Rapporti di convivenza e diritto successorio, in I contratti di convivenza, Giappichelli, 2002, p. 147.
[6] L’espressione è mutuata dall’antico brocardo latino secondo cui “ambulatoria est voluntas defuncti usque ad vitae supremum exitum”, traducibile in “la volontà del defunto dev’esser ritenuta mutevole, fino al suo ultimo respiro”.
[7] Sul punto, in dottrina si è precisato che solamente il patto istitutivo, ovvero l’accordo con il quale un soggetto regolamenta con un beneficiario l’assetto della propria vicenda successoria, si configura come atto a causa di morte, mentre i patti dispositivi e rinunciativi, avendo ad oggetto diritti successori non ancora entrati nel patrimonio del disponente, sono qualificabili come atti inter vivos (v., ex multis, G. GIAMPICCOLO, Il contenuto atipico del testamento. Contributo ad una teoria dell’atto di ultima volontà, Milano, 1954).
[8] Cfr. Cass., 16.02.1995, n. 1683. A tal proposito, per un esame della casistica affrontata dalla giurisprudenza si rimanda a F. PENE VIDARI, Patti successori e contratti post mortem, in http://www.jus.unitn.it/.
[9] V. ZAMBRANO, La famiglia di fatto. Epifanie giuridiche di un fenomeno sociale, Ipsoa, 2005, p. 135.
[10] Gli indici propri dell’attribuzione a causa di morte sono stati individuati ne: a) la considerazione del bene oggetto dell’attribuzione come entità commisurata al tempo della morte dell’attribuente; b) la considerazione del beneficiario come soggetto esistente a quello stesso momento (G. GIAMPICCOLO, op. cit.).
[11] G. OBERTO, Convivenza (contratti di), in Fam. e rapporti patrimoniali. Questioni di attualità, Milano, 2002, p. 1007.
[12] Cfr. Cass., 18 dicembre 1995, n. 12906.
[13] A queste ipotesi se ne aggiungono altre dalla donazione con riserva di usufrutto sicuramente valida e lecita, alla donazione modale con adempimento dell’onere dopo la morte del donante riconducibile al contratto a favore di terzo con prestazione dopo la morte dello stipulante ai sensi dell’art. 1412 c.c., fino alla donazione di usufrutto con effetto dalla morte del donante.
[14] Sostenuto da Cass. 09.07.1976, n. 2619.
[15] Cfr. Cass. nn. 976/1950 e 4053/1987.
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