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La Cassazione e i criteri di valutazione nel reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare: un'analisi della sentenza n. 23961/2025

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La recente pronuncia della Corte di Cassazione penale, Sezione VI, sentenza n. 23961 del 27 giugno 2025, offre importanti spunti di riflessione sui criteri di valutazione probatoria e sui principi consolidati in materia di violazione degli obblighi di assistenza familiare, confermando orientamenti giurisprudenziali ormai consolidati e fornendo ulteriori chiarimenti su aspetti procedurali e sostanziali di particolare rilevanza pratica.

Il caso e la decisione della Suprema Corte

La vicenda processuale ha visto un genitore ricorrere in Cassazione avverso la sentenza della Corte d'appello di Milano che aveva confermato la condanna per violazione degli obblighi di assistenza familiare ex art. 570 del codice penale. Il ricorrente era stato riconosciuto responsabile per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza alla figlia minore, versando contributi irrisori e insufficienti rispetto agli obblighi di mantenimento stabiliti dal Tribunale di Monza.

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso, confermando la condanna e fornendo importanti precisazioni sui criteri di valutazione delle prove e sui principi sostanziali che governano questa delicata materia del diritto penale.

I principi consolidati in materia di stato di bisogno del minore

Uno degli aspetti più significativi della pronuncia riguarda la conferma del principio secondo cui la minore età del figlio rappresenta "in re ipsa" una condizione soggettiva di stato di bisogno. Come chiarito dalla Corte, questa condizione non viene esclusa dal fatto che, in virtù dell'elevata disponibilità economica del genitore presso il quale il minore è collocato, il figlio non versi in reale stato di bisogno ma goda anzi di pieno benessere ed elevato tenore di vita.

Questo orientamento, consolidato dalla giurisprudenza di legittimità, trova conferma in numerose pronunce precedenti, tra cui la sentenza n. 45679 del 2016, che aveva stabilito come "la minore età dei discendenti destinatari dei mezzi di sussistenza rappresenta in re ipsa una condizione soggettiva dello stato di bisogno che obbliga i genitori a contribuire al loro mantenimento". Analogamente, la sentenza n. 10760 del 2016 aveva ribadito che "il reato sussiste anche quando uno dei genitori omette la prestazione dei mezzi di sussistenza in favore dei figli minori o inabili, ed al mantenimento della prole provvede in via sussidiaria l'altro genitore".

La valutazione dell'attendibilità della persona offesa

La sentenza affronta con particolare attenzione il tema della valutazione dell'attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, stabilendo che tale valutazione costituisce prerogativa esclusiva dei giudici di merito. La Corte ha precisato che i giudici non sono tenuti a rilevare le contraddizioni emerse nel corso delle dichiarazioni rese, purché riportate nel ricorso, né a considerare l'assenza di ostilità del ricorrente dimostrata da episodi specifici non valutati.

Questo principio si inserisce nel più ampio quadro normativo delineato dall'art. 192 del codice di procedura penale, che disciplina la valutazione della prova, stabilendo che il giudice deve dare conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati. La giurisprudenza ha costantemente affermato che le dichiarazioni della persona offesa possono costituire prova sufficiente per la condanna, purché siano attendibili e trovino riscontro negli altri elementi acquisiti al processo.

La sentenza n. 35881 del 2019 aveva già chiarito che "le dichiarazioni rese dalla persona offesa non necessitano della presenza di riscontri esterni, non trovando per esse applicazione la regola di cui all'articolo 192 del codice di procedura penale, commi 3 e 4, e possono da sole essere poste a fondamento dell'affermazione di responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto".

I limiti del sindacato di legittimità

Un aspetto procedurale di particolare rilievo emerso dalla pronuncia riguarda i limiti del sindacato di legittimità in relazione ai motivi di ricorso meramente reiterativi. La Corte ha stabilito che il ricorso risulta inammissibile quando proposto "in larga parte per motivi meramente reiterativi diretti a sollecitare una rivalutazione del compendio probatorio", operazione che non è consentita in sede di legittimità.

Questo principio si collega direttamente alle norme processuali che disciplinano l'assunzione della prova, in particolare all'art. 499 del codice di procedura penale, che stabilisce le regole per l'esame testimoniale, e trova applicazione quando il ricorrente si limita a segnalare difformità rispetto a quanto ritenuto in sentenza senza fornire elementi idonei a dimostrare il dedotto travisamento dei fatti.

La configurazione del reato e l'elemento soggettivo

Dal punto di vista sostanziale, la sentenza conferma i principi consolidati sulla configurazione del reato di cui all'art. 570 del codice penale. Il reato si perfeziona quando il genitore si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale, facendo mancare i mezzi di sussistenza necessari al figlio minore.

L'elemento soggettivo del dolo si configura nella consapevole volontà di non adempiere agli obblighi imposti, come chiarito dalla sentenza n. 4110 del 2018, che aveva stabilito che "il dolo si configura nella consapevole volontà di non adempiere integralmente agli obblighi imposti dall'autorità giudiziaria, con la conseguente accettazione del rischio di determinare uno stato di bisogno nei congiunti".

L'onere probatorio e l'impossibilità economica

Un principio fondamentale ribadito dalla giurisprudenza riguarda l'onere probatorio in capo al soggetto obbligato di dimostrare l'eventuale impossibilità economica ad adempiere. Come precisato dalla sentenza n. 26303 del 2017, "l'incapacità economica dell'obbligato, intesa come impossibilità di far fronte agli adempimenti sanzionati dalla norma, deve essere assoluta e deve altresì integrare una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti".

La sentenza n. 13840 del 2015 aveva ulteriormente chiarito che "l'inadempimento dell'obbligo di mantenimento può escludere l'applicazione della sanzione penale esclusivamente nell'ipotesi in cui l'obbligato fornisca la rigorosa dimostrazione dell'assoluta impossibilità di adempiere, non essendo sufficiente allegare mere difficoltà economiche o condizioni patrimoniali non floride".

Le conseguenze processuali dell'inammissibilità

La dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta, ai sensi dell'art. 616 del codice di procedura penale, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende. Questa previsione normativa mira a scoraggiare ricorsi manifestamente infondati o meramente dilatori, garantendo al contempo la serietà del contraddittorio in sede di legittimità.

Riflessioni conclusive e prospettive applicative

La sentenza in esame si inserisce in un quadro giurisprudenziale ormai consolidato che tutela in modo rigoroso gli interessi dei minori in materia di assistenza familiare. I principi affermati dalla Corte confermano l'orientamento secondo cui l'obbligo di mantenimento dei figli minori costituisce un dovere primario e inderogabile del genitore, che non può essere eluso attraverso argomentazioni meramente formali o tentativi di rivalutazione del materiale probatorio già esaminato dai giudici di merito.

Particolarmente significativo appare il richiamo al principio secondo cui lo stato di bisogno del minore si presume iuris et de iure, indipendentemente dalle condizioni economiche effettive in cui il minore si trova a vivere presso l'altro genitore. Questo orientamento riflette una concezione sostanziale dell'obbligo alimentare, che non può essere condizionato da valutazioni di opportunità o da considerazioni relative al tenore di vita effettivamente goduto dal beneficiario.

Dal punto di vista processuale, la pronuncia ribadisce l'importanza di una corretta articolazione dei motivi di ricorso, che devono essere specifici e non limitarsi a richiedere una mera rivalutazione delle prove già esaminate dai giudici di merito. Questo aspetto assume particolare rilevanza nella pratica forense, dove spesso si assiste a ricorsi che, pur formalmente articolati, sostanzialmente mirano a ottenere una diversa valutazione del materiale probatorio acquisito.

La tutela penale degli obblighi di assistenza familiare si conferma così come uno strumento essenziale per garantire la protezione dei soggetti più vulnerabili del nucleo familiare, in particolare i minori, attraverso un sistema di garanzie che non ammette deroghe o attenuazioni basate su considerazioni di carattere meramente patrimoniale o processuale.

 
 
 

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